Inquietante, enigmatico, ricco di spunti filosofici. Lo and Behold parla di Internet e di tutti i risvolti legati alla rivoluzione digitale. Nel farlo non può evitare di riflettere sull’essere umano, artefice di questo grande cambiamento.

La prima inquadratura del film Lo and Behold, di Werner Herzog, è dedicata al cortile dell’Università Americana UCLA, la stessa in cui nel 1969 nacque Internet. L’Università: fucina di sapere, luogo dove si forgiano le giovani menti del futuro.

E il futuro è adesso.

NATURA UMANA

immagine dal film documentario Lo and behold di W. HerzogNonostante l’inizio canonico, prettamente concentrato sull’aspetto scientifico, bastano pochi minuti per ritrovare tra le pieghe della narrazione il vero Herzog: l’artista interessato all’uomo. Il regista che da sempre racconta le vite di esseri umani creativi, caparbi, sognatori fino all’inverosimile, capaci di farsi divorare da quelle stesse passioni che li tengono in vita.

Uomini che hanno conquistato mari, continenti, ghiacciai; che hanno raggiunto la luna e ora si apprestano a colonizzare Marte. Smetteranno mai di ricercare nuove mete, di abbattere confini? Oppure si lasceranno fagocitare dalla sete di conoscenza, dalla folle mania di conquista?

 

L’UOMO

Gli scienziati che Herzog intervista sono eminenti, geniali, meritevoli di stima e ammirazione, eppure così semplicemente umani, a volte ridicoli. Il regista li coglie nelle pause, nei momenti di attesa e riflessione, quando sono rilassati e più vulnerabili. Gioca con le loro manie, stuzzica le loro fantasie e riesce così a ritrarre tutta la loro più semplice umanità, forse anche la loro stessa fallibilità.

E Lo and Behold è proprio questo: una riflessione sui limiti del genio umano che, con la sua sete di sapere, mette a repentaglio sé stesso e forse l’intero pianeta.

immagine tratta dal film documentario Lo and behold di W. HerzogLe eminenze, i geni della scienza odierna, gli artefici di questo presente digitalizzato (che è solo un arcaico medioevo), sono pieni di buoni propositi: immaginano futuri migliori, aspirano alla diffusione del benessere e del progresso globale – e c’è da credergli, perché mentre parlano ognuno di loro ha gli occhi che brillano: la luce dei sognatori, degli altruisti.

Come Fitzacarraldo, che voleva portare la musica nella foresta amazzonica, questi profeti del digitale sognano un mondo in cui le macchine ci possano aiutare a risolvere problemi quotidiani. Un mondo in cui la rete consenta a tutti di studiare, in cui il latte venga sintetizzato senza ricorrere allo sfruttamento animale, un mondo nuovo insomma, addirittura da ripopolare.

LA MASSA

E poi c’è la massa. La massa fatta di tutti quelli che la tecnologia la vivono sulla loro pelle, la subiscono. La massa che perde il controllo che, non essendo pronta a tanto cambiamento, impazzisce, si isola, tira fuori il peggio di sé.

Herzog è un antropologo prima ancora di essere un grande regista: è capace di descrivere un mondo da un dettaglio, un uomo dalla sua postura. La camera non è mai, nel suo cinema, un freddo mezzo per riprendere una situazione. La cinepresa è l’occhio che registra mentre lui interagisce. Non si pone mai dietro l’obiettivo ma al fianco. Le persone guardano lui, non la cinepresa. E noi che guardiamo loro è un po’ come se li spiassimo dietro quell’obiettivo. I gesti, le smorfie, i sorrisi. Spesso non servono nemmeno parole. Questa la bravura di un grande documentarista.

Così, accanto ai voli pindarici delle grandi menti della scienza, ecco che emergono le esperienze, le testimonianze dei semplici: i drogati di videogiochi, ad esempio, che devono andare in centri per depurarsi, per recuperare la loro lucidità mentale. Storie che narrano di figli morti di fame a causa di genitori troppo presi dalla cura di un tamagochi; di bambini dalle gambe amputate per le troppe ore di immobilità al computer; ma anche racconti di persone semplicemente in fuga dall’elettromagnetismo: malati, come tutti gli altri.

Un viaggio nella storia recente, nell’attuale presente digitalizzato e forse oltre, verso un futuro pieno di promesse e dubbi a volte anche paurosi. Herzog, come sempre sa fare divinamente, ci guida all’interno di questo viaggio che è fatto di uomini e ci pone domande a cui non può dare risposte e questo è il bello di Lo and Behold: la partita è aperta, il viaggio è appena iniziato.

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